Nonnis Marzano F.1,4, Bracchi P.G.2, Meloni S.3, Triulzi C.4
1Borsista PostDottorato - Facoltà di Medicina
Veterinaria - Università degli Studi di Parma
2Istituto di Scienza
e Tecnologia degli Alimenti - Facoltà di Medicina Veterinaria - Università degli
Studi di Parma
3Dipartimento di Chimica Generale - Facoltà di
Scienze MM FF NN - Università degli Studi di Pavia
4Dipartimento
di Biologia Evolutiva e Funzionale - Facoltà di Scienze MM FF NN - Università
degli Studi di Parma
Negli ultimi anni la ricerca biologica in campo ambientale si è rivolta
sempre più all'utilizzo di diverse specie animali e vegetali come bioindicatori
di contaminazione recente o pregressa dell'ecosistema (Seaward, 1995). Alcuni
organismi si sono dimostrati particolarmente utili soprattutto
nell'identificazione di bassi livelli di inquinamento, difficilmente
evidenziabili con la semplice analisi strumentale di matrici abiotiche, quali
acqua o terreno (Fraiture et al., 1990).
Nonostante la letteratura su questo
argomento sia vasta, ancora controverse sono alcune questioni riguardanti un
corretto utilizzo delle diverse specie e soprattutto l'affidabilità degli
organismi prescelti per quanto concerne i reali livelli di contaminazione. Si è
abusato spesso in passato del termine bioindicatori, utilizzando a volte gli
organismi come veri e propri biomonitor d'inquinamento, senza considerarne
l'alta variabilità intra ed interspecifica e soprattutto come essi spesso non
siano, per proprie caratteristiche morfologiche e funzionali, rappresentativi
del reale stato di benessere dell'ecosistema (Seaward, 1995).
E' noto dalla
letteratura come alcune specie fungine siano in grado di accumulare elevati
livelli di contaminanti radioattivi e convenzionali, nonostante i bassi livelli
presenti nel terreno circostante e come essi siano in grado di trattenere per
lunghi periodi nel micelio superficiale e conseguentemente nel carpoforo elevate
concentrazioni di inquinanti (Giovani et al., 1990). Gli alti coeffcienti di
trasferimento terreno/fungo e la vasta estensione superficiale del micelio
contribuiscono a rendere i macromiceti ottimi biondicatori di
radiocontaminazione (Fraiture et al., 1990; Giovani et al., 1990).
Partendo
da queste conoscenze, in questo lavoro sono presentati i risultati relativi alla
determinazione dei livelli di due radionuclidi artificiali e di alcuni elementi
chimici, anche presenti in tracce, in macromiceti del genere Boletus di
diversa provenienza geografica.
In particolare, per quanto riguarda le
indagini radioecologiche, avendo in chiara considerazione come la contaminazione
apportata dall'incidente di Chernobyl sia stata alquanto disomogenea e come la
piovosità, nonchè le caratteristiche del territorio influenzino i diversi
livelli di contaminanti presenti, si è cercato di valutare l'impatto
dell'incidente sui diversi ecosistemi e l'evoluzione della contaminazione.
I
risultati, interessanti soprattutto per quanto attiene al Boletus della
Valtaro, hanno suggerito un eventuale utilizzo di queste ricerche per
l'identificazione della reale provenienza dei campioni. I funghi della Valtaro
crescono infatti in un ambiente considerato di una certa importanza dal punto di
vista micologico, sia per aspetti turistici che commerciali e spesso sono stati
propagandati come funghi di Borgotaro miceti provenienti da altre aree
geografiche.
I nostri risultati sembrerebbero confermare l'alta variabilità
della distribuzione di Cs-134 e Cs-137 in aree tra loro vicine, consentendo però
di definire intervalli di valori caratteristici per le diverse zone di
campionamento.
La ricerca presenta inoltre alcuni aspetti innovativi
soprattutto per quanto concerne le metodologie analitiche. Infatti la
caratterizzazione di alcuni elementi stabili (anche presenti in tracce) è stata
eseguita mediante analisi per attivazione neutronica. Tale tecnica applicata in
Italia solo presso il reattore sperimentale dell'Università di Pavia consente di
evidenziare elementi presenti in minime concentrazioni e non determinabili con
le tecniche classiche.
Nel corso del 1996 sono stati prelevati campioni del genere Boletus in
alcune località dei Comuni di Borgo Val di Taro (Vighini) e di Albareto,
rinomate per la raccolta e la commercializzazione del fungo porcino (Baratti et
al., 1996). Altri organismi dello stesso genere sono stati acquistati da
cercatori, da commercianti locali e da alcuni importatori da regioni europee ed
extra europee. Nella Tabella 1 è riportato un quadro esplicativo dei diversi
campioni analizzati.
In alcuni campioni è stato possibile definire con
certezza la specie Boletus edulis, mentre, soprattutto per quanto
concerne i campioni acquistati, i boleti erano costituiti dalla quattro specie
principali del genere, ossia B. edulis, reticulatus, aereus
e pinophilus. In corrispondenza dei campioni prelevati a Vighini e Case
Mirani sono stati raccolti anche campioni di terreno superficiale.
I funghi
ripuliti dai residui di terriccio ed i terreni corrispondenti, successivamente
all'essiccazione a 105°C sino a peso costante, sono stati macinati e
omogeneizzati in un mortaio di agata. Si è proceduto quindi alle analisi di
radioattività artificiale ed elementi stabili.
I principali radionuclidi
artificiali ricaduti sull'area di studio con il fallout dell'incidente di
Chernobyl sono stati il Cs-137 (prodotto di fissione, emivita 30,2 anni) ed il
Cs-134 (prodotto di attivazione, emivita 2,06 anni) (Denegri et al., 1987).
Entrambi sono stati determinati mediante analisi di spettrometria gamma con
rivelatore EG&G-Ortec al Germanio intrinseco ad alta risoluzione (FWHM 1,8
KeV a 1,33 MeV). La validità della strumentazione e dei parametri di
calibrazione è stata valutata sperimentalmente mediante un esercizio di
intercalibrazione effettuato con l'International Atomic Energy Agency del
Principato di Monaco.
Il campo di energia considerato è stato tra 0,08 e 1,5
MeV, e nell'ambito di tale range sono stati determinati oltre ai due isotopi del
cesio, anche il K-40 al fine di poter calcolare i rapporti cesio/potassio
(Brunner et al., 1996) ed estendere in futuro le ricerche anche ad aspetti
eco-fisiologici. Le concentrazioni, riferite alla data del prelievo, sono
espresse in Bq/kg secco e sono state calcolate con apposito programma
informatizzato della EG&G-Ortec (Milano).
Tabella 1 - Quadro dei campioni analizzati
L'analisi per attivazione neutronica (NAA: Neutron Activation Analysis) è
stata condotta su aliquote dei campioni del peso di 0,300 g, inserite in
contenitori di polietilene per essere sottoposti ad irraggiamento.
Come
materiale di riferimento sono stati utilizzati materiali certificati geologici e
biologici forniti dal N.I.S.T. (National Institute Sciences and Technology,
U.S.A.).
Gli irraggiamenti sono stati effettuati nel reattore nucleare Triga
Mark II dell'Università di Pavia, ad un flusso di neutroni termici di 1x1012
n/cm2/sec, per la durata di 20 ore. Dopo decadimento di tre giorni sono stati
sottoposti a spettrometria gamma con un rivelatore Ge iperpuro collegato a un
analizzatore ed a un personal computer per l'elaborazione automatica degli
spettri. Gli elementi chimici di maggior interesse sono risultati Ca, Sc, Cr,
Fe, Co, Ni, Zn, As, Se, Rb, Zr, Sb, Cs, Ba, La, Ce, Nd, Sm, Eu, Gd, Tb, Dy, Ho,
Lu, Hf, Ta, Th e U. Le concentrazioni sono espresse in ppm (mg/kg peso secco).
L'analisi dei dati di radioattività artificiale ha evidenziato come i boleti
della Valtaro presentino ancora elevate concentrazioni di radiocesio, nonstante
siano ormai trascorsi più di dieci anni dall'incidente di Chernobyl (Denegri et
al., 1987). Le concentrazioni di Cs-137 in questi macromiceti simbionti sono
risultate superiori ai campioni provenienti da altre aree europee ed extra
europee ed in particolare è evidente anche una certa variabilità dei dati
rispetto ad altri campioni italiani.
Per quanto riguarda l'alta variabilità
dei risultati in campioni di zone limitrofe, quali Tarsogno (Comune di Tornolo)
e Rovinaglia (Comune di Borgotaro), desideriamo non sbilanciarci e non formulare
alcuna ipotesi. Nella Tabella 2 è infatti possibile osservare come i valori
passino da circa 500 - 600 Bq/kg peso secco nei campioni di Vighini e Case
Mirani, mentre siano decisamente inferiori nel campionamento di Tarsogno e
Rovinaglia (63-158 Bq/kg s.). A tale proposito è bene precisare che a causa
della scarsa nascita fungina degli anni 1996 e 1997 spesso ci siamo rivolti a
commercianti locali per il reperimento dei campioni. Le basse concentrazioni
presenti nei campioni denominati Rovinaglia, Tarsogno e Borgotaro, per quanto
riferibili a differenze nel fallout ed alla variabilità interspecifica che
influenza fortemente il bioaccumulo, ci hanno fatto sorgere qualche dubbio circa
la provenienza dei tre campioni e sono state lo stimolo a più accurate indagini
circa la reale provenienza dei boleti. Analizzando quindi campioni di
derivazione certa e commercializzati nella nostra provincia è emerso come le
concentrazioni di Cs-137 in boleti del Trentino, della Calabria, dell'Europa
dell'Est e della Cina fossero inferiori ai porcini della Valtaro.
D'altro
canto la presenza di Cs-134 rilevata nei due campioni di Vighini e Case Mirani
ci permette di identificare con certezza la contaminazione derivata
dall'incidente di Chernobyl. Questo isotopo del cesio infatti non era presente
nell'ambiente prima dell'evento Chernobyl ed identifica con certezza la
contaminazione apportata dall'incidente. Come già evidenziato per il Cs-137
anche le concentrazioni di Cs-134 sono risultate superiori nei campioni di
Borgotaro rispetto alle altre zone.
L'incidente di Chernobyl (26 aprile
1986) ha immesso Cs-137 e Cs-134 in proporzioni definite, con rapporto 1,7 - 2,0
normalizzato al 1° maggio 1986 (Ruhm et al., 1997). Pertanto attraverso un
calcolo matematico che considera i diversi tempi di decadimento dei due
radionuclidi è possibile valutare, seppur con una certa imprecisione a causa del
lungo periodo ormai trascorso, il contributo del cesio dovuto a Chernobyl
rispetto a quello precedentemente già esistente e relativo ai test nucleari
degli anni '60-'70. Alla data dei nostri campioni il rapporto teorico è
risultato variabile tra 50 e 58. I valori superiori a tale rapporto sono dovuti
ad un maggior contributo del Cs-137 preChernobyl. Considerando un rapporto
teorico medio Cs-137/Cs-134 di 54, in Tabella 3 è stata ipotizzata una
ripartizione del cesio preChernobyl e Chernobyl presente in alcuni campioni.
Tabella 2 - Concentrazioni di Cs-137, Cs-134 e K-40 determinate in campioni del genere Boletus
Tabella 3 - Separazione del Cs-137 pre-Chernobyl e Chernobyl in alcuni campioni
I risultati della Tabella 3 rivestono notevole importanza in relazione alle
diverse caratteristiche dei due tipi di fallout (Aarkrog, 1988). Ricaduta
altamente disomogenea e variabile, anche in aree vicine, quella di Chernobyl;
più omogenea quella da esperimenti nucleari. A tal proposito, è interessante
osservare come da questo calcolo emerga il forte contributo del Cs-137 Chernobyl
rispetto a quello già presente nell'ambiente e soprattutto come le
concentrazioni preChernobyl del campione Borgotaro Sett.'96 e Cavalese siano
alquanto simili ad ulteriore riprova di quanto appena affermato circa la
ricaduta omogenea del Cs-137 precedente all'incidente. Lo scarso apporto di
cesio Chernobyl nel campione Borgotaro ott. '96 con basso valore di Cs-134
farebbe propendere per esemplari non provenienti dalla Valtaro (ricordiamo che
tale campione fu fornito da un commerciante locale).
L'assenza di Cs-134 in
alcuni campioni può essere dovuta o al suo naturale decadimento e quindi
scomparsa dall'ambiente, se inizialmente presente in basse concentrazioni (può
essere questo il caso della Calabria e Skopje, l'Europa meridionale è stata
scarsamente interessata da Chernobyl) (Enea, 1986); oppure può non essere mai
arrivato in regioni così orientali come la Cina.
Da un confronto tra le
concentrazioni di radiocesio presenti nei nostri campioni con alcuni dati
riportati in letteratura per l'area europea (Tabella 4) emergono alcune
considerazioni interessanti a riprova di quanto appena affermato.
Tabella 4 - Confronto tra le concentrazioni di Cs-137 e Cs-134 determinate nei campioni di Vighini e Albareto ed alcuni valori riportati in letteratura per Boletus edulis
Nel confronto in tabella le concentrazioni dei due isotopi del cesio risultano alquanto variabili, riflettendo in linea di massima, per l'areale europeo, il ben accertato gradiente nord-sud ed oriente-occidente (Enea, 1986). Anche da questo confronto emerge come la determinazione di precisi range di valori e soprattutto la definizione dei livelli di contaminazione da Cs-134 possano essere un utile strumento per l'identificazione, seppur con alcuni limiti, dell'esatta provenienza dei campioni.
Tabella 5 - Concentrazioni (ppm) di elementi stabili determinate mediante analisi per attivazione neutronica in alcuni campioni di boleti e terreni
In futuro l'estensione della ricerca anche alla determinazione delle
concentrazioni di Sr-90 e degli isotopi del plutonio consentirà di definire con
maggiore precisione l'attendibilità di quanto appena affermato. Infatti seppur
presenti in concentrazioni minime, in quanto scarsamente influenzati dall'evento
Chernobyl, tali isotopi possono essere ben identificati nel genere
Boletus e nei macromiceti in generale, in relazione agli alti fattori di
trasferimento suolo/micelio/carpoforo (Fraiture et al., 1990; Giovani et al.,
1990).
Parallelamente alle indagini radiometriche, l'analisi per attivazione
neutronica ha evidenziato aspetti interessanti per quanto riguarda i livelli di
alcuni elementi stabili, in particolare metalli pesanti e terre rare (serie dei
lantanidi), presenti nei campioni. Limitando infatti il confronto ai soli boleti
italiani emergono alcune interessanti indicazioni.
Dall'analisi delle
concentrazioni, riportate in Tabella 5 ed espresse in ppm (mg/kg peso secco) si
apprezzano, nei funghi di Vighini (Borgotaro) e Case Mirani (Albareto), alti
valori di alcuni metalli pesanti quali Cr e Zn, e dell'alcalino-terroso Ba,
rispetto ai boleti del Trentino e della Calabria. In particolare il Ba, presente
in rilevante concentrazione nei boleti parmensi, è assente negli altri campioni
italiani presi in considerazione. I funghi di Cavalese hanno altresì evidenziato
alti livelli di ferro, elemento scarso nei campioni di Borgotaro e della
Calabria. Ma soprattutto molto interessante è apparsa la costante maggior
presenza di terre rare (serie dei lantanidi) nei funghi della Valtaro rispetto a
Trentino e Calabria.
Tutto ciò risulta ancor più interessante se si
considera che i funghi del trentino appartengono approssimativamente alla stessa
fascia latitudinaria della Valtaro, con concentrazioni di Cs-134 (che abbiamo
considerato come marker Chernobyl) alquanto vicine a quelle del nostro
appennino.
Questo studio, nonostante il limitato numero di campioni analizzato, ha fatto
emergere alcuni risultati interessanti, offrendo notevoli spunti di discussione
e stimolando l'ampliamento della ricerca ad altri radionuclidi a vita lunga,
nonchè a campioni di altre aree. Il nostro approccio metodologico appare
alquanto interessante, mostrando notevoli potenzialità, che dovranno tuttavia
essere sviluppate seguendo precise linee di condotta (Jorhem e Schroder, 1995).
In particolare sarà necessario inquadrare con certezza dal punto di vista
sistematico le singole specie, al fine di limitare la variabilità interspecifica
che fortemente influenza il bioaccumulo di radioisotopi e metalli in tracce
(Jorhem e Sundstrom, 1995). Limitare la contaminazione della componente edule da
parte del terreno e condurre parallelamente alle analisi dei funghi anche
indagini sul terreno sottostante/circostante.
Tutto ciò al fine di poter
definire con assoluta certezza come le indagini sulla radioattività ambientale e
sugli elementi stabili rappresentino una valida tecnica per identificare specie
fungine di provenienza certa, nonchè svelare la presenza in commercio di
campioni provenienti dall'estero. Tale ricerca apre quindi nuove prospettive
alla divulgazione turistica e commerciale del genere Boletus, anche alla
luce dell'assegnazione al territorio ed al fungo della ValTaro della
denominazione IGP (Indicazione Geografica Protetta) da parte della Comunità
Europea.
Parole chiave: radionuclidi, elementi in tracce, funghi, Boletus
Key words: radionuclides, trace elements, mushrooms, Boletus
RIASSUNTO. L'utilizzo di macromiceti del genere Boletus come bioindicatori di inquinamento radioattivo e convenzionale ha permesso di valutare i livelli di contaminazione di differenti ecosistemi. I risultati hanno suggerito la definizione di range di concentrazioni caratteristici dei diversi ambienti ed utilizzabili per la certificazione della reale provenienza dei boleti. In particolare le analisi radiometriche, effettuate parallelamente alla determinazione dei livelli di metalli pesanti ed elementi in tracce determinati mediante analisi per attivazione neutronica, ben si prestano al controllo della commercializzazione del porcino della Valtaro. Tutto ciò anche in considerazione dell'assegnazione al territorio ed al fungo della Valtaro della denominazione IGP (Indicazione Geografica Protetta) da parte della Comunità Europea.
SUMMARY. A radioactive and conventional pollution assessment was carried out by using macromycetes of the genus Boletus as bioindicators of environmental contamination. The results suggested the definition of concentration ranges for each ecosystem with the aim of certifying the real origin of the mushrooms. Particularly, radiometrical analyses coupled to neutron activation analysis for the determination of trace elements can be used for controlling the correct trading of the Valtaro Boletus . Such control will be much requested in the future in relation to the IGP (Protected Geographycal Indication) brand assigned by the European Community to the Taro Valley.
BIBLIOGRAFIA